Il cd. nuovo Codice degli appalti pubblici, approvato in extremis rispetto al termine del 18 aprile 2016, fissato dalla Legge delega 26 febbraio 2016, n. 11, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 19 aprile 2016, n. 91, S.O. n.
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10, ha avuto un lungo e travagliato iter, al pari di tutti i Testi Unici che mirano non solo a semplificare ed accorpare fonti eterogenee stratificatesi nel tempo, ma anche ad incidere su prerogative normative di Istituzioni ed Organi diversi, vista la trasversalità dei contenuti. Prematuro prevedere l'impatto che il Codice avrà sugli operatori, sia delle Amministrazioni, che dell'imprenditoria e, non da ultimo, delle professioni legali e della Giustizia, ciò che immediatamente risalta è, da un lato, il deciso ritorno alla centralizzazione del sistema sotto il duplice profilo della regolamentazione e della gestione, e, dall'altro lato, una certa abdicazione dell'Esecutivo e della Pubblica Amministrazione, tradizionalmente intesa, in favore, rispettivamente, di Autorità Indipendenti e di altre Strutture. Opzione politica, la prima, sintomo dell'esperienza più o meno deludente delle riforme Autonomistiche degli ultimi tre lustri, foriere di una gestione disinvolta del danaro pubblico (spesso coniugata con una certa inclinazione nazionale al malaffare) e di un incremento dei costi delle, interminabili, opere pubbliche e degli approvvigionamenti, ormai non più in linea con le esigenze di razionalizzazione determinate dall'esiguità delle risorse.