La strage di Stato ricostruisce, a distanza di un anno e inizialmente in forma rigorosamente anonima, gli avvenimenti e i retroscena della strage di piazza Fontana del 12 dicembre 1969, quando una bomba posta all'interno della Banca Nazionale dell'Agricoltura causò 16 morti e 90 feriti, e dello scoppio di altre tre bombe a Roma alla Banca Nazionale del Lavoro.
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L'inchiesta, come si desume dalla nota degli autori, è opera di "un gruppo di militanti della sinistra extra-parlamentare", coordinati dall'avvocato Eduardo Di Giovanni e dal giornalista Marco Ligini. Il libro, quindi, nasce e parla a nome del movimento che ha animato le piazze nel biennio 1968-69 e che diventa il principale bersaglio della repressione: il ferroviere anarchico Giuseppe Pinelli muore pochi giorni dopo la strage, cadendo dal quarto piano della Questura di Milano; il ballerino anarchico Pietro Valpreda viene subito indicato come responsabile dell'attentato di piazza Fontana (sarà prosciolto definitivamente solo dopo molti anni e travagliate vicende processuali). Si tratta di un libro-inchiesta che mira a evidenziare le connessioni tra l'ambiente neofascista e differenti livelli dell'apparato dello Stato (servizi segreti, forze di polizia), a documentare le infiltrazioni neofasciste nei circoli anarchici e nel movimento studentesco universitario, e a denunciare l'uso da parte dello Stato della destra estrema (soprattutto i gruppi di Ordine Nuovo, fondato nel 1954-55 da Pino Rauti, e Avanguardia Nazionale, fondata nel 1962 da Stefano Delle Chiaie) con l'obiettivo di favorire un'azione repressiva contro il movimento sessantottino. Lo scritto è anzi una vera e propria controinchiesta, condotta indagando nel mondo dell'eversione neofascista, che cominciò all'indomani della strage e che ha riscosso grande successo, anche al di fuori del movimento, sia per la diffusione capillare, sia perché venne affermata una "verità" scomoda. Gli autori tentano infatti di dimostrare come l'attentato del 12 dicembre sia stato in realtà una "strage di Stato", ossia che lo Stato abbia avuto implicazioni dirette: "Non ci stupisce né ci indigna - scrivono nella nota - il ricorso dei padroni alla strage e la trasformazione di 16 cadaveri in formula di governo; né che l'apparato ne copra le responsabilità con l'assassinio e l'incarcerazione degli innocenti [...]". Il volume, dedicato a Pinelli e al magistrato romano Ottorino Pesce, restituisce per intero la drammaticità del clima che si respirava all'indomani dell'eccidio, la tensione per gli avvenimenti accaduti, la paura di un possibile colpo di Stato fascista che sembrava concretizzarsi agli occhi di una parte del movimento e di vasti settori della società italiana. (a.g.)