Tutto ha inizio nel Palazzo, tutto si svolgerà nella Piazza: il Palio è un rito civile racchiuso in uno spazio e in un tempo pubblico dove i canoni sono sanciti dalla civiltà che lo celebra e che in esso si rispecchia e dove peraltro "nella Siena di oggi, la patria non è la città, ma la contrada" (William Hcywood).
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Le pratiche, le atmosfere e i ritmi stessi sono scritti nel secolare copione che lo racconta. Come i gesti, sia individuali che collettivi. Ma quel copione che ogni spettatore presuppone di conoscere non dice in realtà come finirà la messa in scena; quale attore sia destinato al ruolo di protagonista e se la storia è destinata ad avere un lieto fine o a concludersi con un terribile mal di pancia che necessita di una successiva e dolorosa purga. Lo spettatore è ingannato: crede di avere già visto tutto, di sapere già tutto quando in realtà non sa niente e non ha ancora visto niente: "Eppure gli interventi del fato e l'incrociarsi delle strategie di tutti contro tutti rendono estremamente improbabile il verificarsi di qualsiasi risultato particolare. Non c'è nessuno che sappia tutto (...) o sia veramente padrone della situazione'' (Alan Dundes e Alessandro Falassi). Difficile raccontare un rito simile, difficile fotografarlo specie se chi si avvicina alla festa non mette in conto la possibilità dell'inganno. Può accadere che il cronista e il fotografo si accingano a raccontare il Palio ipotizzando facili trame rimanendone però ingannati. Si salveranno l'anima ricorrendo all'esteso campionario degli stereotipi o si inebrieranno di colore fino all'inevitabile resoconto patinato. Carlo Vigni, nel suo reportage sul Palio, evita queste modalità narrative dando anima ad un racconto vero che non è rappresentazione folclorica; prestando la vena interpretativa ad una festa che non è di plastica ma di duro metallo. il gioco del nero che combatte con il chiaro del foglio (solo la fotografia in bianco e nero permette questa magia)
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