Le "Vite" di Giorgio Vasari, pubblicate a Firenze nel 1550, sono la pietra fondativa della storia dell'arte quale ancora oggi la intendiamo, nei suoi strumenti e metodi essenziali. Seguire il filo dell'attività del pittore aretino nei molti diversi contesti italiani in cui fu operoso (Roma, Bologna, Venezia, Napoli, Firenze e tanti centri della Toscana...
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), e considerare la sequenza dei viaggi, i rapporti con i committenti (principi della terra e della Chiesa come i Medici o i Farnese, ma anche ordini religiosi, collezionisti e mercanti), gli amici, il mondo degli umanisti e dei letterati (ad esempio Pietro Aretino, Andrea Alciato, Annibal Caro...), i tempi e i modi di lavoro, permette di fare luce sulla maturazione della dirompente impresa storiografica vasariana, sulla sua impostazione e sulle sue ragioni critiche. A fronte della radicale novità segnata dalla prima edizione dell'opera, concepita dall'autore in un momento precoce del suo percorso, profondamente differenti sono i criteri e le aspirazioni cui corrisponderà la rielaborazione del testo in vista della edizione molto ampliata del 1568, ormai del tutto allineata ai valori del principato mediceo. La nuova versione delle "Vite" prende corpo infatti nell'ultima stagione trascorsa da Vasari alla corte fiorentina, quando si consolida la sua posizione di regista della politica culturale di Cosimo I, con il coordinamento del grande cantiere architettonico e decorativo di Palazzo Vecchio.
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