Il volume cerca di rispondere alle molte domande che sono ancora senza risposta sul caso Moro, il presidente della Democrazia Cristiana rapito dalle Brigate Rosse in via Fani il 16 marzo 1978 e ucciso dopo 55 giorni di prigionia.
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Sergio Flamigni, come parlamentare del Partito comunista italiano, ha fatto parte della Commissione parlamentare d'inchiesta che si è occupata del caso Moro e sull'argomento ha già pubblicato nel 1988 La tela del ragno. Il delitto Moro (vedi Scheda 83)e nel 1997 Il mio sangue ricadrà su di loro. Gli scritti di Aldo Moro prigioniero delle BR (vedi Scheda 85). In questo volume riprende molti degli argomenti già trattati nelle precedenti pubblicazioni per ribadire la sua convinzione che gli uomini delle Brigate Rosse non furono gli unici responsabili del rapimento e dell'assassinio dell'onorevole democristiano e che, anzi, furono in qualche modo manovrati dai servizi segreti "deviati" con l'aperto sostegno di autorità statali. L'ampia documentazione su cui si basa il volume comprende gli atti acquisiti dalla Commissione parlamentare, le più importanti monografie a disposizione, le istruttorie e i relativi atti dei procedimenti giudiziari, i servizi giornalistici contemporanei e successivi alla vicenda, i comunicati prodotti dalle Brigate Rosse nel corso dei 55 giorni, le lettere che Moro scrisse alla famiglia e ad alcuni politici e, infine, le parti conosciute del "memoriale Moro". Secondo l'autore, dunque, nel rapimento di Aldo Moro furono implicati i servizi segreti "deviati" e a supporto di questa tesi Flamigni cita diversi indizi: un piano predisposto dagli ambienti di destra diversi anni prima del 1978 per sequestrare Moro; la sparizione dei verbali e dei documenti redatti dal gruppo di gestione della crisi istituito dall'allora ministro dell'Interno, Francesco Cossiga; la presenza di infiltrati all'interno delle Brigate Rosse, la sparizione delle borse dell'onorevole democristiano; il ritrovamento soltanto parziale del "memoriale". E anche la versione, sempre ribadita dai brigatisti, di aver agito in piena autonomia, non convince Flamigni, secondo cui essa potrebbe essere stata concordata con settori dello Stato in cambio di una maggiore elasticità nel regime carcerario. A dimostrazione di questa tesi, l'autore riporta il fatto che i terroristi condannati per il rapimento e l'assassinio di Aldo Moro godono, rispetto agli altri brigatisti incarcerati per reati meno gravi e precedenti tale episodio, di un trattamento privilegiato tale da renderli di fatto liberi. (b.s.)