Marco Aime, uno degli antropologi più noti e influenti del panorama italiano, riesce a comunicarci l'avventura dell'antropologia e il volto sfaccettato e ambiguo della parola cultura in poco più di cento pagine, con un linguaggio chiaro e appassionato, con rigore metodologico e soprattutto con una grande apertura mentale e una rara empatia nei confronti dell'"altro", unico requisito davvero necessario per evitare di cadere in millantate "guerre tra culture", di cui troppo spesso si parla. L'antropologia ha sempre dovuto confrontarsi con la definizione stessa dell'oggetto dei suoi studi. Di "cultura" nel tempo sono state date definizioni descrittive, normative, storiche, psicologiche, genetiche o strutturali, nel tentativo di imbrigliare un concetto tanto sfuggente. La cultura è spesso presentata come l'opposto della natura, una sorta di sovrastruttura precaria impiantata sulla solidità di muscoli, ossa, cellule e tessuti, che compongono il "corpo" fisico degli uomini. Ma nel caso della nostra specie, quello strano animale chiamato "Homo sapiens", questa definizione non tiene, e non è difficile riuscire a invertire i termini, ponendo la natura fisica al servizio della componente culturale, saldamente al comando. Sul concetto di cultura tuttavia, noi europei paghiamo ancora un prezzo molto alto al nostro modo molto speciale di considerarci nel mondo, da uomini bianchi, occidentali, avanzati e vincenti.