La strage di Peteano, del 31 maggio 1972, si inserisce all'interno del fenomeno della strategia della tensione, un insieme di stragi e di tentativi eversivi che ha caratterizzato il periodo a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta.
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Il libro inizia con la telefonata anonima che segnala una FIAT 500 con due buchi sul parabrezza, macchina che si rivela essere imbottita di esplosivo e che scoppia all'arrivo di una pattuglia dei carabinieri, uccidendo tre militari. Al colonnello Dino Mingarelli, agente del SID (il Servizio Informazioni Difesa) già coinvolto nella predisposizione di un piano eversivo nel corso del 1964, sono affidate le indagini del caso. Dopo il tentativo malriuscito di seguire la cosiddetta "pista rossa", addossando la responsabilità dell'attentato all'organizzazione della sinistra extraparlamentare Lotta Continua, e dopo un ordine proveniente dal SID stesso di interrompere le indagini sulle cellule nazifasciste venete, Mingarelli si indirizza verso quella che i giornali locali definiscono in modo sensazionalistico la "malavita goriziana". "Malavita" che, secondo gli inquirenti, si sarebbe voluta vendicare di un torto subíto dall'Arma dei Carabinieri. La Stampa e Il Giorno sono stati gli unici quotidiani a diffusione nazionale a essersi occupati della strage di Peteano e dell'iter processuale che ne è seguito, evitando cosí di restringere questa vicenda alle sole città di Gorizia e Trieste. Il giornalista Gian Pietro Testa, inviato de Il Giorno, si è occupato direttamente del caso curando questo libro-denuncia pubblicato nel 1976, quando il percorso giudiziario era tutt'altro che finito. Per l'autore, i sei malavitosi di Gorizia, che saranno liberati dopo un anno di carcere per insufficienza di prove, sono in realtà vittime di una costruzione persecutoria creata ad arte e alimentata per sviare le indagini dai veri responsabili: la destra eversiva veneta legata ai servizi segreti. L'inchiesta di Testa ricostruisce fedelmente le dinamiche dei fatti, il metodo di indagine approssimativo di Mingarelli, le figure dei sei indiziati e il processo in primo grado a loro carico, e sottolinea gli elementi a carico del colonnello dei carabinieri accusato di calunnia, corruzione di pubblico ufficiale e falsità dei rapporti. La scrittura del volume è stata possibile grazie alla mole del materiale giudiziario cui Gian Pietro Testa ha attinto e alle testimonianze dei protagonisti. Dopo la pubblicazione del libro, le indagini sulla strage di Peteano hanno avuto una svolta decisiva: il neofascista Vincenzo Vinciguerra, militante di Ordine Nuovo, si è autoaccusato della strage ed è stato condannato nel 1987 alla pena dell'ergastolo con sentenza passata in giudicato. (a.g.)